L’ossessione del perfezionismo è ben radicata nel nostro modo di pensare, la ricerca del massimo sopperisce al senso di inadeguatezza: essere esemplari rende inattacabili e mette al sicuro da ogni possibile critica, placando l’ansia di non piacere. Ma è una strategia di difesa che a lungo andare produce stress e frustrazione. Come uscirne?
Leggi di piùL’ossessione del perfezionismo è ben radicata nel nostro modo di pensare e coinvolge non solo l’aspetto fisico ma anche la vita familiare, le relazioni, il lavoro, lo sport. Il desiderio di perfezionismo, come descrive l’American Psychological Association, è in costante aumento dagli anni Ottanta e colpisce in misura maggiore le nuove generazioni: sono i millenials i più coinvolti, vittime del modello imposto dai Social e del continuo confronto con le vite degli altri.
Perchè inseguiamo la perfezione?
“E’ un imprinting che viene da lontano, addirittura dal mondo classico – spiega Stefania Ortensi, psicologa del team Psicosport – Questa secolare eredità, sul piano psicologico rappresenta una delle nostre prime e più forti forme di difesa che attiviamo inconsapevolmente quando ci sentiamo insicuri”.
La ricerca del massimo sopperisce al senso di inadeguatezza: essere esemplari rende inattacabili e mette al sicuro da ogni possibile critica, placando l’ansia di non piacere. “Purtroppo però la perfezione rimane un’utopia e questa è una strategia di difesa a lungo andare produce stress e frustrazione, portandoci ad esaurire le nostre risorse interiori, poichè porsi obiettivi troppo alti ci espone ad alte probabilità di fallimento“.
Come fare allora per liberarsi da questo meccanismo logorante?
“Innanzitutto si deve considerare che la perfezione è uno standard, un canone che non può essere fissato in maniera oggettiva. Nella vita reale entra in gioco la soggettività: ognuno di noi ha un proprio modo di vedere e di valutare le cose. Il coraggio di essere imperfetti si conquista a piccoli passi. In primo luogo occorre un atto di ribellione agli stereotipi e ai modelli che creano solo sensi di colpa. Quando un perfezionista non riesce a rimanere negli standard che pensa siano ritenuti accettabili, non riescie a perdonarsi, si critica, si autocensura. Questo accade soprattutto in chi da piccolo è stato esortato a eccellere in tutto”.
Per invertire la rotta bisogna imparare ad accettare l’errore.
Il perfezionismo è solo apparentemente sinonimo di valore e qualità, in realtà ci costringere all’immobilismo, non ci permette di evolvere. Sbagliando si impara: l’errore ci permette di valutare la situazione da un altro punto di vista e di arrivare alla soluzione del problema. Mettere in conto la possibilità di sbagliare ci rende pronti a gestire con meno ansia questa eventualità e quindi ci permette di progredire anche in piena crisi.
Un buon esercizio per uscire dalla trappola del perfezionisimo è l’improvvisazione.
“Almeno in alcuni ambiti della vita potremmo pensare di lasciarci dei margini di casualità, di libertà, di flessibilità – suggerisce Stefania Ortensi – Bastano un paio d’ore, durante le quali assaporare la casualità di quello che ci accade: può essere una telefonata che regala una piacevole chiacchierata, una strada sbagliata che fa scoprire un posto nuovo. Così impariamo ad adattarci alle situazioni più varie, senza perdere il controllo.
Anche scegliere la comodità è un buon espediente per chiudere la porta agli stati ansiosi. Opporsi a ciò non va secondo le aspettative è estremamente faticoso, la soluzione spesso è assecondare gli eventi e dirottarli in modo da poter trascorre del tempo di qualità da soli o con gli altri: gestire è sempre meglio che rifutare a priori.